Si è appena conclusa la settimana mondiale del cervello per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle patologie che colpiscono l’organo più importante del nostro corpo, con conseguenze devastanti sia per gli esiti in percentuale di mortalità, che per quelli di invalidità.
I temi toccati sono stati tanti dall’Alzheimer alla sclerosi multipla, dalle demenze all’ictus.
In occidente l’ictus è la prima causa di disabilità, la seconda di demenza e la terza di morte.
Nel nostro paese circa un milione di persone affrontano ogni giorno gli esiti invalidanti dell’ictus e ci sono circa duecentomila nuovi casi all’anno.
Numeri sconfortanti per una patologia che il progresso medico, anno dopo anno, cerca di sconfiggere o quantomeno di arginare, sviluppando strategie di risposta rapida con le stroke unit ospedaliere: centri specializzati a intervento rapido in grado di ridurre le conseguenze dell’ictus, quando preso in tempo e trattato rapidamente.
Il fattore tempo è infatti fondamentale per combattere l’ictus con le tecniche di trombolisi sistemica e trombectomia meccanica. Terapie e interventi vincenti quando eseguiti in centri specializzati, che purtroppo in Italia non sono ancora sufficientemente presenti e soprattutto mal distribuiti sul territorio: al nord con una concentrazione buona e al centro-sud con una carenza di strutture. Quando il paziente viene trattato in fase acuta, aumentano le possibilità di ridurre le conseguenze fino, nei casi più fortunati, a permettere un recupero totale senza esiti permanenti.
Un altro genere di problema è quello dell’assistenza e della riabilitazione. I costi ospedalieri costringono le strutture a dimissioni veloci dei pazienti anche con forti invalidità, basta sia garantita l’indipendenza respiratoria e alimentare.
Queste politiche di tagli e risparmi raggiungono però il solo risultato di scaricare il costo economico, psicologico ed emotivo sulle famiglie: spesso impreparate ad affrontare un percorso riabilitativo lungo, che richiede professionalità e competenze.
La dedizione e la buona volontà delle famiglie non sono sempre sufficienti, ed è miope e riduttivo pensare che l’intervento specialistico si possa limitare a quello medico.
L’assistenza infermieristica e quella di figure specializzate nella riabilitazione, possono permettere ai pazienti di recuperare parte della propria autonomia persa. Affiancando a questo percorso riabilitativo i giusti supporti tecnologici, per compensare le capacità compromesse definitivamente, si può restituire ai malati e alle loro famiglie quella serenità psicologica indispensabile per garantire quegli standard di qualità di vita, che sembrano erroneamente irraggiungibili a chi ha avuto la sfortuna di essere colpito da un danno neurologico.